- Giulio Romito
Un'intera famiglia iraniana mi aspetta | Shirvan
Milad, cugino di Jafar (il meccanico, per chi non se lo ricordasse), o almeno così mi è sembrato di capire, dopo avermi fatto da traduttore per 3 giorni carichi di ansia, mi ha convinto: vado a trovare lui e la sua famiglia a Shirvan. Sono circa 200km da Mashhad, in direzione opposta rispetto alla mia destinazione ma un’occasione del genere non me la voglio lasciar sfuggire, e poi è anche un modo per testare la moto prima di lasciare l’Iran. Lo spostamento dura circa due ore, parto intorno a mezzogiorno ed arrivo verso le 14. Lungo la strada, una moltitudine di automobilisti mi strombazza per salutarmi ed almeno un paio di loro, guidando, mi vorrebbero passare del tè attraverso il finestrino…fare un tentativo non mi sembra la cosa più saggia se guidi una moto, mi limito a ricambiare con una bottarella di clacson ed una mano alzata. Non mi faccio mancare neanche una richiesta di sfida, io carico come un mulo, con una moto che è un trattore, contro una super stradale 78000cc di contrabbando. Ovvio che ripiego su un saluto ed una risata. Ad accogliermi all’ingresso della città trovo gli uomini di famiglia, sono 5 fratelli dagli 8 ai 40 anni. Li seguo sino a casa dove incontro tutta la famiglia, il vicinato ed il paese accanto… La maggior parte di loro vive a Mashhad ma per questa occasione si sono ritrovati tutti qui. Mi trattano come un re, non faccio in tempo neanche a prendere la bottiglia dell’acqua che ci pensano loro a riempirmi il bicchiere. Finito il pranzo mi chiedono se preferisco riposare oppure fare un giro nelle vicinanze, opto per la seconda opzione. Andiamo prima su un punto panoramico e poi ci fermiamo in una campagna di amici loro per mangiare dell’uva raccolta direttamente dalla vite e fare una siesta. Mi tempestano di domande sul mio viaggio, sul modo occidentale di vivere e non può mancare anche un grande classicone: “sei sposato?” “No!”. Arriva la domanda bomba:” Credi in Dio/Allah?” Non so perché ma sono un po’ titubante, ma poi rispondo come avrei fatto in qualsiasi altro posto del mondo:” No, non credo in nessun dio ma credo nell’umanità, in tutti i valori di condivisione e rispetto degli altri”. Un paio mi guardano un po’ storto mentre il fratello più grande dice:” Oh cazzo! Sono dieci anni che glielo dico a questi due!” Parlano animatamente tra di loro per 10 minuti e poi finiamo a scherzare. Rientriamo a casa per lasciare l’auto ed io continuo a fare il giro con Milad nel centro del paese. Mi porta a vedere la moschea, a mangiare dei dolci strepitosi e poi finiamo in un centro islamico equivalente del nostro oratorio, dove vengo accolto calorosamente. Non ricordo esattamente come si chiama la figura religiosa responsabile di questo luogo (è l’equivalente del parroco). Ci sediamo in cerchio sui tappeti, tutti si presentano e condividiamo del melone ed altri dolci. Prima di tornare a casa per la cena, il “parroco” prova a riempirmi di regali: delle spille, una sciarpa e persino un quadro che evidentemente non posso portar via, come lo carico sulla moto?? A cena è un’altra festa e mi omaggiano con un piatto di PASTA! Oh, tutto sommato non era male. Il cuoco di famiglia è il padre, oramai in pensione. Chiedo se la frontiera per il Turkmenistan domani è aperta e che orari ha. Mohammad, il più grande dei fratelli, gentilissimo come tutti, chiama mezzo mondo e mi da le informazioni che mi servono. Finiamo di mangiare e tutti si congedano, io invece me ne vado a letto, sul tappeto. Domani sveglia presto, si va in Turkmenistan.
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