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  • Giulio Romito

Primo stop di Kiddo | Faruji, Iran

Vi ricordate il primo stop di Kiddo? Mi trovo su un altopiano subito dopo il parco nazionale del Golestan, direzione Mashhad, sono le 16:00. Kiddo si pianta nel bel mezzo del nulla a 200km dalla meta e non ne vuole sapere di ripartire.


Mi guardo intorno. Intravedo a 500 mt di distanza qualcosa che assomiglia ad una struttura. Inizio a spingere la moto stracarica (sarà mica venuta mia madre, stanotte, di nascosto, per riempire anche gli spazi vuoti delle valige con delle scatolette di tonno?) imprecando ad ogni goccia di sudore che cade, quindi per l’intera distanza, senza sosta. La struttura si rivela una moschea con annesso minimarket. Smonto la moto per cercare di capire cosa possa essere e chiamo in Italia per una consulenza tecnica. Niente, non riesco a risolvere.



Due tipi, un ragazzo ed un signore, si avvicinano incuriositi, capiscono che sono in difficoltà e prima di tutto mi portano del tè, pooooooi si può pensare al guasto. Ci sta, alla fine ci sono solo 35 gradi, un bel tè caldo è proprio quello che ci vuole…Bisogna chiamare un meccanico, che arriva dopo un’oretta. Dichiara morta la moto, la benedice e telefona ad un amico con un pick-up per portarla in paese. Primo tentativo fallito, la moto è troppo grande. Allora si va in paese alla ricerca di un altro mezzo. 10 minuti per contrattare il prezzo e ritorniamo da Kiddo. Per caricarla sul furgone bisogna prendere la rincorsa su una duna di terra che fa da trampolino verso il cassone…

E per scaricarla in officina? Cosa c’è di meglio di una scala di ferro del fabbro accanto? La moto è al riparo ed il meccanico inizia a smontarla per fare qualche test…fermooooooo, aspetta!!! Mi sa che non ne aveva mai vista una così ed allora mi tocca indossare i guanti e smontare la moto da solo. Avete presente quando c’è una festa patronale e tutti si ritrovano in piazza in paese? Ecco, l’officina a questo punto è diventata la piazza del paese, sono tutti qui a guardare, chiedere e scattare selfie.


La comunicazione non è delle più semplici per via della lingua ed allora arriva il professore di inglese del paese, un tipo basso, dinoccolato, in abito…Il mio inglese è quello parlato a Cambridge se paragonato al suo (ed io sono una capra!). I suoi modi sono amichevoli ed ufficiali allo stesso tempo. Non perde occasione per correggere i miei errori, lui, che per chiedere come sto, dice “which are you?”. Comunque, niente da fare per la moto, bisogna portarla a Mashhad dove c’è un meccanico che dovrebbe saperci mettere le mani. Chiedo per un albergo e la risposta di due ragazzi è: ma quale albergo? Stanotte dormi da noi! Effettivamente poteva essere l’unica soluzione visto che in quel paese con meno di 5000 anime un albergo non esiste. La faccio breve: mi offrono la cena, un letto (un tappeto), scambiamo due chiacchiere attraverso google translate, e ci mettiamo a dormire.

La mattina seguente la sveglia è alle 7. Il tempo di fare colazione, sempre offerta, e si va all’officina. Io onestamente non ci capisco molto, so solo che devo aspettare che arrivi un furgone, non so a che ora. L’attesa è snervante ma, come il giorno prima, non sono mai da solo ed in ogni momento qualcuno mi offre un tè, due biscotti, una moglie. Il fabbro che la sera prima aveva gentilmente offerto la scala decide che è arrivato il momento di interrompere il suo lavoro ed esibirsi in un concerto di musica popolare per un unico spettatore accreditato come fotografo per non pagare: io. Imbraccia la sua chitarra (non mi ricordo il nome esatto dello strumento, arghh) ed inizia a suonare. Due minuti dopo suo fratello sta ballando dietro di lui. Finito lo show, perchè non bere il 28esimo tè? Ma questa volta lo bevo nel salone da barba accanto al fabbro, suo fratello mi sembra di capire. Via tutto, quanto ti devo? NULLA, sei l’ospite del paese!

In molti, durante le 3-4-18 ore di attesa, mi hanno chiesto di non partire e di andare a pranzo da loro, vorrei poter soddisfare tutte le richieste ma credo che così spenderei i miei due mesi di viaggio interamente a Faruj. Il furgone arriva, il tempo di sentirmi dire qualche “We love you” e si parte per Masshad…no, aspetta però, ho dimenticato gli pneumatici! Torniamo indietro per 20 km ed a questo punto si parte davvero.





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Giulio Romito aka Elpazo

Dopo aver girato l’Italia in lungo e in largo come giocatore professionista di pallavolo ho deciso di far diventare la passione per la fotografia il mio mestiere. La mia base è Milano da una decina d’anni ma appena ho la possibilità imbraccio la macchina fotografica e parto, su qualsiasi mezzo; in questo caso ho deciso di assecondare la mia seconda passione e di partire in moto.

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